Svarianze
Riassumendo
Altre leggi, nero su bianco, vigono qui.
Wislava Szymborska
Venuto il momento di riassumere, credo di poter dire che, se è certo che non ho mai scritto romanzi, è altrettanto sicuro che non ne scriverò nel tempo che mi resta.
Non ho evidentemente fiato abbastanza per simili imprese.
Ho sempre avuto però la propensione a fabulare, ma preferendo ‒ per scelta o per forza ‒ la forma o misura o maniera breve. Anzi, ultimamente, brevissima.
Genere considerato in Italia marginale, e senza lettori.
Strano Paese, il nostro. Pochissimi leggono e, se lo fanno, è soltanto su malloppi chiamati best sellers. Fermandosi poi e chiudendo il libro a metà del terzo capitolo.
Eppure, sarebbero così comode, a un popolo refrattario alla lettura, storie che si avviano senza svolazzi e si concludono nel giro di due tre paginette. Sai subito di cosa e di chi si parla e come va a finire. Presto dentro, presto fuori, sentenziava un narratore che sapeva molto bene come si fa, e non stava parlando di uno sbrigativo congresso carnale.
La brevità avrebbe altri vantaggi. Secondo un’ammirata poetessa, renderebbe più sopportabili le imperfezioni, servite a piccole dosi. Difetti che sicuramente non mancheranno nelle mie prove.
Per scrivere breve occorre seguire certe regole.
Ne traggo un paio da citazioni di illustri autori stringati, ma ve ne devono essere parecchie altre non meno importanti, che ora non ricordo o che ignoro, non avendo purtroppo frequentato corsi di creatività.
Prima di tutto: dire, o meglio far dire nelle storie solo quel poco che offra al lettore buoni spunti per capire e immaginare. Sebbene non paia, la gente ha un sacco di capacità in questo campo, che vanno stimolate. Sono convinto che poche righe possano lievitare nella mente di chi legge, spesso molto più di quanto non cresca l’impasto d’una torta lasciato per un’ora e un quarto sotto un tovagliolo umido.
Concordo poi sulle raccomandazioni al fabulatore di non innamorarsi troppo dei personaggi e delle trame. Quando sento qualche scrittore rivelare nelle interviste che ha molto amato un tizio o una tizia da lui creati, mi viene il nervoso. Do ragione a chi sostiene che sia meglio mantenere una certa distanza emotiva dai tipi di cui si parla e dalle vicende in cui li si coinvolge.
Non l’indifferenza o peggio degli entomologi con le povere farfalle, gli spilli e il microscopio. Ma un po’ di freddezza non guasta. Soprattutto quando il personaggio che vuoi far vivere è più o meno una tua controfigura, e ti preme di concludere in fretta.
Confesso di non aver sempre seguito io stesso queste regole e me ne scuso. Dubito anche di non aver impiegato ogni volta il lievito ‒ e il sale ‒ nelle giuste dosi.
Non ho avuto una di quelle vite «interessanti» augurate da un’antica maledizione cinese. Essendo la mia fantasia, d’altra parte, limitata, ho dovuto pescare qua e là nei ricordi delle mie scarse esperienze, spesso aggiungendo, o magari togliendo. Mi sono impegnato come ho potuto nel tentativo di tratteggiare figure e fatti nella brevità, svicolando quando mi è parso che servisse. Non scolpendo a tutto tondo, ovviamente, come negli ampi spazi dei grandi autori, ma fermandomi al minimo bastante, spero, a fornire qualche stimolo all’immaginazione del lettore eventuale.
Tutto scritto ‒ se non mi sto autoingannando ‒ per il semplice piacere di vedere se ce la facevo.