Frammenti autobiografici

33, anzi, 1 quadro

La nipotina Lauretta ha da un bel po’ sistemato 33 Quadri per 1 Tramonto (è il suo quadro n. 50 del 2011), proprio sulla parete di fronte al letto destinato a P quando dorme a Milano.

E sere fa, prima di addormentarsi, egli non ha potuto far a meno di riguardare la tela e di rigiudicarla severamente (come tutte le volte che la osserva), con insoddisfazione. I gialli di varie intensità che ha usato per dare l’idea di campi agricoli sono tutti irrimediabilmente troppo chiari per il tramonto enunciato dal titolo, che comporta una dominante sull’arancio: dovrei caricarli, pensa, un po’ nelle parti che avevo deciso di lasciare in ombra. Non con del giallo puro, che invece di togliere luminosità ne aggiunge dell’altra ma, per esempio, con una lieve punta di colore più scuro (arancione, appunto, o meglio marroncino?). P dovrebbe semplicemente ripetere ciò che ha fatto a suo tempo nell’acquarello regalato poi alla nuora Rossella (ora nello studio del figlio Zeno), che gli era servito da bozzetto per l’acrilico.

Sarà per il fatto che in questi giorni P sta risistemando meglio, nella scaffalatura da lui stesso costruita con fatica in solaio, le tele che non ha regalato in giro, riordinandole cronologicamente, mettendoci i titoli, la data e la firma (anzi la sua sigla), che quasi nessuna ancora aveva, orientandosi secondo l’elenco che via via è andato compilando a mano negli anni, e che adesso ha “digitato” sul computer.

Sarà per questa improvvisa smania di riordino finale che ora P ha deciso alfine di passare dalle intenzioni ai fatti e di correggere finalmente i 33 Quadri ecc., portandosi a Milano i colori e tutto ciò che può servire alla bisogna?

Con quei benedetti 33 Quadri ecc. pareva a P d’aver tentato di costruire un’immagine che fingesse una unità compositiva coerente, pur rappresentando in modo schematico una realtà chiaramente fittizia, arbitraria e incoerente. Pensava: al primo sguardo l’osservatore deve riconoscere nel Quadro l’immagine che corrisponde al titolo, cioè un’idea di tramonto su un convenzionale paesaggio ordinato di campi coltivati su basse colline ondeggianti, punteggiati qua e là da alberi, con il sole che, in alto all’orizzonte, campisce sulla cresta del poggio, aperta verso il cielo. Contro il quale, altrettanto convenzionalmente, si staglia una ‘lunga teoria’ di altri alberi, quasi tutti nella forma tipica dei cipressi, che sogliono ‘incoronare’ le colline.

Ma poi l’osservatore, soffermandosi a guardare meglio, dovrebbe avvertire palesi contraddizioni: a) il sole e tutti i 32 alberi sono dipinti su altrettante tele, tenute verticali da appositi sostegni, che appaiono distribuite nel Quadro (che è la 33.ma tela); b) gli alberi, anzi, i ‘quadri’ degli alberi, non hanno ombre ‘portate’ (come sempre nelle faciture di P, che rifuggono dalle ‘ombre inquietanti’ della pittura metafisica, per seguire piuttosto le regole allegre di molte delle sbrigative illustrazioni o vignette umoristiche-satiriche che compaiono su giornali e riviste). Le cose raffigurate non gettano cioè sul terreno la solite ombre lunghe di oggetti opposti alla luce radente della sera (e perché non dell’alba? no: il titolo enuncia ‘tramonto’); c) gli alberi (i quadri degli alberi) che sfilano in alto contro cielo e sole, non si mostrano come silhouettes scure, secondo le regole ottiche che sperimentiamo ogni volta che guardiamo qualcosa contro-luce, cioè in contrasto, nel caso specifico, con la luminosità del sole e del cielo supposto serotino.

A questo punto l’osservatore dovrebbe capire la furbata di P: è un falso paesaggio, è una sommaria parodia di paesaggio, una presa in giro dei modi di rappresentare un ‘poetico’ tramonto in una di quelle rassicuranti immagini che si sforzano di ribadire la necessaria realtà del mondo.

E qui si potrebbe far largo ai competenti addetti all’analisi della psicologia evolutiva, che hanno individuato bene il momento in cui il bambino, nel suo sviluppo cognitivo, comincia a distinguere e a capire che la realtà non è frutto della sua volontà ma è qualcosa che insiste a permanere là fuori. A che punto è P nel capirlo? Gli sa di essere ancora lì che indugia sul discrimine, forse con inconscia o pre-conscia nostalgia ma, comunque sia, allegramente.

Per tornare alla insoddisfazione di P: quali correzioni (gli esperti le chiamano ‘pentimenti’) dovrebbe apportare al Quadro per finalmente soddisfarsi meglio?

Per esempio: a) scurire in gradazione il giallo, a seconda della distanza prospettica che P stesso aveva assegnato ai campi (coltivati?), nei punti che dovevano sembrare ‘in ombra’ (unico suo espediente per simulare una specie di terza dimensione all’immagine); b) rafforzare leggermente la linea (che gli pare si distingua poco) del quadro su cui è raffigurato il sole; c) ristudiare il colore del cielo. P ricorda di aver già tentato di farlo, aggiungendo una punta diffusa di arancione chiarissimo, come nel Circo del sole (quadro n.31), ma poi ci aveva rinunciato, probabilmente perché gli sembrava che l’insieme desse troppo sul giallo e aveva quindi lasciato il cielo tutto bianco, cioè astrattamente senza colore.

E se mi limitassi, pensa P, ad aggiungere una leggera sfumatura all’arancio alla parte di cielo vicina al sole, per cui non occorrerebbe nemmeno rafforzare la linea nera del quadro-sole? E qui gli viene il dubbio di averci già pensato a suo tempo, ma non si ricorda perché avesse scartato l’idea: forse aggiungeva un dettaglio troppo ‘reale’? (Mah, troppo complicato. Meglio lasciare tutto com’è).