Versi e altro
Felicità raggiunta si cammina (Edizioni ViEffe, 1974)
33 variazioni sul tema della deambulazione.
I disegni sono stati ripresi, in una grande installazione sul tema del “Movimento”, alla Biennale d’Architettura di Venezia (2008).
Il libro è stato ristampato nel 2010 da Il Canneto Editore.
Felicità raggiunta
Presentazione del libro
Visto che sul libro in sé (33 distici e 35 disegni) non mi pare che ci sia molto da dire, potrei raccontarvi come è nato questo libretto.
Camminare è nato prevalentemente in bagno, mi pare alla fine del 1973, a Milano, mentre mi facevo la barba. Posto e momento giusto per la nascita di queste fanfaluche.
In bagno molti pare che cantino, mentre fanno la doccia. Io non canto, anche perché sono molto stonato, ma parlo. Parlo da solo, straparlo, dico delle cavolate. O meglio, una volta lo facevo sempre. Adesso molto meno. Invecchiando sono diventato più saggio, o più rimminchionito, che forse è la parola giusta. Spesso mi divertivo a recitare dei versi famosi e poi a deformarli, a farci sopra dei giochi di parole. Così è nato questo scherzo su un verso di Montale.
Ma anche prima, verso il ’58, ho buttato giù quasi sempre in bagno degli scherzi che avevo intitolato Versi per Versi, che poi Guglielmo Trillo e altri amici dell’Italsider hanno fatto stampare, un paio d’anni dopo, in un centinaio di copie.
Anche questi scherzi su Montale li ho battuti a macchina (allora non c’era il computer). Quando sono arrivato a una trentina, mi sono fermato e ho pensato: ma cosa sto facendo?
Quel giorno c’era uno che chiacchierava alla radio (io ascolto sempre Rai Tre che fa spesso musica) sulle variazioni che Beethoven aveva composto al pianoforte su un motivo di valzer di un musicista ed editore di musica austriaco che si chiamava Anton Diabelli. Questo Diabelli aveva invitato vari amici musicisti a fare qualche variazione sul suo motivo. E Beethoven ci ha dato dentro e ne ha fatto addirittura 33. E allora io ho pensato: ecco, variazioni è la parola giusta! Se lo ha fatto Beethoven lo posso fare anch’io. Lui col valzer, io col camminare, che è sempre un muovere i piedi. Anch’io farò 33 variazioni sul verso di Montale. E così ne ho aggiunto altre tre. Se non ascoltavo la radio sarebbero state solo 30 variazioni. Che è una parola anche colta, che non guasta mai. E io poi ho aggiunto anche deambulazioni, che è un’altra parola istruita.
Poi ho pensato: e se le illustrassi con dei disegnini? Ho fatto varie prove ma non mi venivano bene, erano dei disegnini precisini, non mi piacevano e ho lasciato andare. Ma si vede che l’idea mi era rimasta in testa. Io quando telefono faccio sempre degli scarabocchi, e un giorno ho cominciato a scarabocchiare un pupazzetto, una specie di Pierrot, e ho pensato: forse questo va bene.
Se credete però che questi scarabocchi siano nati di getto vi sbagliate. Per ogni variazione ne ho tentati tanti, ma c’era sempre qualcosa che non funzionava. Però alla fine ci ho fatto la mano e allora mi sono venuti un po’ meglio e ho pensato che potessero andare.
Per la stampa mi sono rivolto a uno di quei tipografi economici che negli anni ’70 avevano delle macchinette che si chiamavano mi pare Multilith e che servivano a stampare per pochi soldi roba commerciale, carta da lettere, blocchi fatture, cose del genere. E me lo sono stampato, imitando ironicamente come veste le edizioni squisite del Pesce d’Oro di Scheiwiller, ma rilegate con due punti metallici. Al posto del pesce d’oro ci ho messo una riproduzione del timbro da ceralacca con le iniziali di mio bisnonno che si chiamava di nome Vita come me.
Perché i disegni sono 35 e non 33? Beh, il 34esimo è un disegno conclusivo: è la mèta raggiunta, la felicità di camminare.
L’ultimo disegno invece è un altro scherzetto, comprensibile solo da chi conosce un po’ le poesie di Montale. Non c’entra col CAMMINARE, ma con il FILO. E’ ispirato agli ultimi due versi dell’ultima poesia che chiude non gli Ossi di seppia ma Le Occasioni, il secondo libro di Montale.
Quindi non più un fil di lama o un fil di fumo o un filo d’erba o un filo elettrico, ma un filo di pietà. Pietà per i poveri porcospini che si abbeverano al filo d’acqua di una pozzanghera (che è un’immagine di grande tenerezza), e pietà per chi ha combinato questo scherzetto su Montale.
Questo libretto l’ho regalato agli amici che pare si siano divertiti.
Ma a questo punto è successo una cosa curiosa. Non so come il libretto è capitato tra le mani del critico letterario di allora de L’Espresso, che si chiamava Mario Picchi, che poi è morto. E così su L’Espresso del 13 ottobre 1974, nella rubrica “FRESCHI DI STAMPA”, tra le recensioni delle poesie di Antonio Porta, del saggio su D’Annunzio di Renzo De Felice e delle meditazioni di Diego Valeri, è uscita una recensione di ben DIECI RIGHE sul mio libretto! E anche questo è stato veramente un bellissimo scherzo.
LE CITAZIONI
Siccome il libretto veniva molto smilzo, ho pensato di aggiungerci delle citazioni sul camminare.
Me n’erano venute in mente tantissime, naturalmente, ma io ho cercato di mettercene qualcuna che si ispirasse al MODO DI CAMMINARE. Mi ricordo che negli anni ’60-’70 si parlava molto di “tecniche del corpo”, era uscito anche un saggio su questo argomento dell’etnologo, antropologo, sociologo francese Marcel Mauss, che mi piacque moltissimo. Come sapete Mauss è uno degli iniziatori dell’antropologia culturale, assieme a Lévy-Strauss; Mauss era tra l’altro uno scienziato molto spiritoso.
Io ho citato solo una frase. Razza d’animale, cammina sempre con le mani completamente aperte! Ma se permettete vorrei farvi sentire il brano da cui ho preso questa citazione dal saggio LE TECNICHE DEL CORPO, che è del 1934, e parla delle prime intuizioni che Mauss ebbe su questo tema, procedendo dal concreto all’astratto e non viceversa, per costruire una teoria “sociale” degli atteggiamenti umani. Sentite com’è moderno, attuale, geniale.
Altra bella citazione è quella di Goethe dal VIAGGIO IN ITALIA, la prima che ho messo, come omaggio a Verona, la mia città. Verona fu la prima città importante che Goethe incontrò venendo dalla Germania. Lui fu colpito dal fatto che i veronesi, cioè gli italiani, camminando, dondolano tutti le braccia. Lui era abituato a veder camminare i tedeschi, che allora avevano tutti un passo rigido, molto militare. Adesso, per fortuna, mi pare meno.
Insieme a Goethe ho messo una citazione da GRADIVA, un racconto di Wilhelm Jensen, pubblicato nel 1903, sul quale come certamente sapete Freud ha scritto un saggio famoso.
E’ la storia di un giovane archeologo tedesco un po’ disturbato che alla vita preferisce le rovine dell’antichità. Il giovanotto resta affascinato da un bassorilievo romano visto a Roma, che rappresenta una ragazza che cammina in un modo strano. Se ne fa fare un calco e in sostanza se ne innamora, la battezza Gradiva e immagina che sia di Pompei. Difatti va a Pompei e qui, tra vari sogni, apparizioni e deliri allucinatori, la vicenda ha un inatteso lieto fine amoroso. Freud nel suo saggio constata compiaciuto e direi anche sorpreso, che lo scrittore ha tracciato un quadro esatto di un caso clinico e della sua cura secondo procedimenti psicoanalitici, senza ancora conoscere le teorie che il nostro Sigmund andava elaborando.
Altra citazione l’ho presa dalla Montagna incantata di Thomas Mann.
E’ il primo incontro di Hans Castorp nella sala da pranzo del sanatorio con la misteriosa e inafferrabile russa Madame Chauchat, tubercolotica come lui, di cui si innamora.
Anche in questo caso, oltre a un modo particolare di camminare, a me interessava l’epifania della donna in un’altra atmosfera stregata e fuori del tempo, in questo caso il sanatorio.
Altra citazione è dal Labirinto di Alain Robbe-Grillet.
Questa citazione l’ho messa perché descrive un certo modo di camminare, ma credo che non sia il caso di aggiungere altro. Robbe-Grillet sarà interessante, sarà il teorico del nouveau roman, il revisore radicale dello statuto degli oggetti, come dicono i letterati, eccetera, ma a me le sue storie e quasi tutta l’école du regard mi sembrano una grande palla. Quando hai letto dieci righe hai già fatto il pieno.
Queste erano le citazioni che ho messo 36 anni fa. Poi leggendo ne ho trovate molte altre, come quella di Henry David Thoreau dal suo Camminare:
Mi allarmo quando, addentrandomi per un miglio in un bosco, mi accorgo di camminare con il corpo senza essere presente con lo spirito.
Poi c’è Shakespeare dal Macbeth:
Messaggero – Che io subisca la vostra collera se non è così. A tre miglia da qui potete vederla avanzare; dico, una foresta che cammina.
E naturalmente Kafka, nel suo Diario:
2 gennaio 1912- Perciò assecondavo gli abiti brutti anche col mio portamento, camminavo con la schiena curva, con le spalle sbilenche, con le braccia e mani impacciate.
Figurarsi se non c’è Joyce con l’Ulisse, che è tutta una giornata, un 16 giugno, passata da Leopold Blum a camminare per Dublino colloquiando interiormente. Prendiamo dal capitolo del Bagno:
Come camminava quella con le sue salsiccie? Press’a poco così. Camminando tirò fuori dalla tasca laterale il Freeman piegato, lo aprì, lo arrotolò a mo’ di bacchetta e cominciò a batterlo sui pantaloni a ogni passo svagato.
Ma ce ne sarebbero molte altre. Pensare quante ne potrei trovare nelle Confessioni di Jean-Jacques Rousseau, che si faceva a piedi delle camminate di 600 chilometri da Parigi a Torino e ritorno!
Camminare è qualcosa che anima e vivifica le mie idee…