Storie Brevi – Speriamo che
Un colpo solo
La sentinella con gli occhi azzurri cammina piano sull’argine alto, costruito chissà perché così lontano dal punto in cui, oltre l’ampio greto sassoso, si scorge l’acqua scarsa e quasi ferma lambire la riva. Da quando sta nella baracca di legno con i suoi quattro commilitoni – da più di sei mesi, ormai – il fiume non si è alzato di un centimetro. Si va verso l’autunno, la bruma cresce ogni giorno, dura fino a mattina inoltrata. Tutto è tranquillo, giorno e notte, e non si capisce il motivo per cui lui e i compagni, passandosi l’unico fucile che hanno, debbano alternarsi a montare la guardia a niente.
Sì, per la verità lì sotto c’è lo scassato traghetto che fa passare da sponda a sponda, dall’alba al tramonto, qualche carretta contadina, qualche moto, un paio di auto, donne in bicicletta e stop. Sarà questo l’obiettivo militare da proteggere. Lo manovra un civile, un vecchio barcaiolo zoppo, e loro cinque sono addetti alla manutenzione, in sostanza ad aggottare sera e mattina, liberando lo scafo dall’acqua che filtra abbondante tra le fessure del fasciame, non calafato da anni.
Quando non sono di sentinella e non aggottano, ingannano il tempo aiutando a due a due il vecchio al momento dell’ormeggio: uno regge forte il remo tra forcola e greto del fiume e l’altro trattiene la cima – non corda, per carità, sono gente d’acqua –, che mantiene il barcone accostato mentre gente e veicoli salgono e scendono. In cambio, c’è di tanto in tanto qualcuno dei trasportati che passa ai ragazzi una bottiglia di vino o un pezzo di salame.
A forza di trafficare con le barche hanno finito per sentirsi marinai, sia pure di fiume. Tanto più da quando hanno scovato, nel ripostiglio accanto alla baracca, degli stivaloni di gomma e dei mantelli di incerato completi di copricapo paracqua, subito adottati come divisa, anche quando non piove. Cacciatori di balene, come nei film.
La sera, si alternano nella libera uscita, travestiti da eroi del mare. Attraversano con una piccola barca, camminano per un bel pezzo fino a un’osteria, alle prime case della città, dove giocano a carte bevendosi un paio di bicchieri. Sperano che qualche ragazza li guardi, ma non ci sono in giro ragazze, a quell’ora. Solo una vecchia alcolizzata, forse un tempo prostituta. Spesso tornano alla baracca ubriachi.
Stanno benone. Nessuno viene mai a controllare quello che fanno. Evidentemente si fidano di loro. O si sono dimenticati che esistano. Meglio così. L’importante e che tutto resti tranquillo, nel tran tran di turni di guardia e via vai del traghetto. Ritirano ogni settimana le razioni e si cuociono il mangiare sulla stufetta. Qualche volta, uno bravo a pescare si apposta in un’ansa del fiume dove l’acqua è fonda e riesce a tirar su delle trotelle luccicanti. Così il rancio diventa un banchetto.
Una mattina, mentre la sentinella con gli occhi azzurri cammina sull’argine e si distrae a guardare un martin pescatore che sfreccia sull’acqua, una gazza o un merlo che svolacchiano e tutto quello che passa nei racconti di caccia che lui non ha mai letto, ma che gli dà un uguale senso di malinconia, scorge all’improvviso qualcosa di più grosso che si muove tra i cespugli. Non capisce bene cos’è fin che non lo vede alzarsi pigramente a volo. E’ un uccello grigio grandissimo, elegantissimo che lui, ragazzo di città, ha visto solo nelle illustrazioni di un libro di scuola, alla pagina dei trampolieri, col becco affilato come una baionetta e le gambe lunghe lunghe, che si dispongono orizzontali mentre prende quota. Non ne ricorda il nome e non saprà mai che l’uccello si sta scrollando placido lo spazio dalle ali, come ha scritto in un’altra storia una sofisticata signora inglese, ma lui sarebbe d’accordo, una volta compresa l’immagine figurata, che è proprio così che l’animale si sta sollevando nel cielo.
In pochi secondi l’uccello è già lontano, altissimo, ma ecco che ora, veleggiando, ridiscende a larghi giri. E la sentinella si ricorda di avere a spalla il fucile. Non ha mai sparato in vita sua, solo alle giostre. Ha cinque colpi nell’unico caricatore di cui l’intero corpo di guardia disponga. Forse potrebbe tirarne uno, così per vedere. E’ impensabile che una sola pallottola riesca a centrare un bersaglio tanto difficile e lontano. Proviamo.
Imbraccia il fucile, prende la mira, spara.
Il colpo è assordante, non credeva fosse così forte. In cielo, l’uccello ha uno scarto, compie una virata lenta e stretta, plana ad ali stese, scompare tra gli alberi. Si sarà spaventato del rumore, il proiettile non l’ha certamente colpito.
Dalla baracca escono i compagni allarmati. Cosa succede, grida quello bravo a pescare, tacitamente riconosciuto come capo-baracca.
Niente niente, dice la sentinella, ho sparato a un uccello ma non l’ho preso, vedessi che enorme, è sceso laggiù, sull’altra sponda.
Sarà un airone, dice il pescatore, ce ne sono in ogni fiume, ci fanno concorrenza nella pesca.
La sera all’osteria discutono dello sparo. Quasi litigano, cosa ti sogni, cosa gli diciamo se ci chiedono come mai, dobbiamo stare tranquilli, non creare problemi. Poi si ubriacano e non ci pensano più.
Bella giornata di novembre. Al ragazzo con gli occhi azzurri viene l’idea di prendere la barchetta e andare a far legna per la stufa sull’altra riva, che gli appare diversa, guardandola dal solito argine, una barriera silenziosa, misteriosa di tronchi ravvicinati, olmi o altri sottili e dritti alberi che non sa come si chiamino.
Arrivato di là, s’accorge che, da vicino, la barriera è un’illusione della distanza, è solo un bosco rado. Esplorare qua e là i cespugli sarà comunque una piccola avventura per rompere la monotonia di quella loro vita insperatamente tranquilla nel ciclone della guerra. Ma anche qui non c’è niente da scoprire.
Il ragazzo comincia la ricerca di roba secca da bruciare. Bello questo ramo sottile così lungo. Lo tira per liberarlo dall’intrico e sobbalza, lascia cadere gli sterpi già raccolti, si ritrae. E’ la gamba di un grosso uccello morto.
Vince la ripugnanza, si riavvicina, rovista con uno stecco. Distingue a fatica, rovo tra i rovi, il corpo fradicio invaso dagli insetti, le ali rattrappite confuse nella mota, i resti arruffati e contorti del nobile collo, la piccola testa abbandonata, il becco lunghissimo. E’ l’airone. Certo, il suo airone. Centrato da un colpo solo, la fortuna del principiante. Povera bestia. Scesa a morire nel bosco. Un’agonia lunga, forse. Mentre lui s’annoiava sull’altra riva.
Il becco ricade sulla punta del suo stupido stivalone di gomma. L’orlo del mantello incerato da capitan coraggioso tocca terra, si sta sporcando di fango.