Storie

Storie Brevi – Sono le contraddizioni
Due ovetti bianchissimi

Tu che te ne intendi, vieni a vedere cosa c’è qua dietro, dice all’amico appassionato d’ornitologia.

Certo di sorprenderlo con una scena rara, apre le tende e la porta finestra del balcone sulla grande piazza luminosa. Ma non esibisce la bella vista delle colline che si arrampicano in fondo oltre le case. Indica solo un punto dietro una delle imposte sempre schiuse e assicurate ai fermi. Nello stretto spazio tra un’anta e il muro, dentro un vaso da fiori vuoto, su un po’ di stecchi sistemati alla meglio, un grosso piccione sta da qualche giorno covando.

L’uccello, probabilmente femmina, ha naturalmente avvertito all’istante i disturbatori, ma resta lì alla cova, allarmato e vigile.

Ah sì, un classico, i piccioni domestici nidificano sempre così.

L’ornitologo dilettante non s’è stupito ed esibisce all’istante sottovoce le sue nozioni. Gli basta una gronda, prosegue, l’angolo di un cornicione, un buco nel muro, o un vaso vuoto. Il nido è sempre trasandato e sporco, non lo puliscono dagli scacazzi, non sono accurati e discreti come le rondini, che costruiscono col fango e mettono all’interno erba, foglie piume, tutta roba morbida e tengono tutto ben pulito.

Allora è vero, pensa il padrone di casa, sono invadenti cialtroni sporchi. E ingombranti, antipatici, ho ragione a detestarli.

I piccioni, sèguita l’esperto monologando il suo sapere, guardano solo all’essenziale: covare e imbeccare, alternandosi maschio e femmina, e dopo una ventina di giorni i pulli rompono il guscio. Ma vedrai come crescono e s’impiumano in fretta. Un mesetto e, appena gli spuntano le penne remiganti, sono già pronti al volo. I genitori smettono di portargli il cibo e vengono solo a controllare se tutto procede bene, e loro, dopo aver sostato qualche ora, ritti sul bordo del vaso, scendono giù, zampettano e scacazzano in giro sul balcone, osservando bene i movimenti degli altri piccioni che svolazzano intorno. Finalmente si buttano ad ali aperte e via. Sanno subito come fare, hanno già incorporate nel DNA tutte le istruzioni.

Accidenti, pensa il padrone di casa, ancora un mese e più di fastidio.

Tornano in salotto a chiacchierare. Anzi, parla sempre il conoscitore, racconta storie curiose di uccelli – ne sa un sacco – finché l’ospitante inventa un pretesto per toglierselo dai piedi.

E va di nuovo a spiare piccione e nido.

S’immaginava fosse un evento eccezionale, invece pare sia una cosa banale, che succede tutti i giorni, secondo quello.

Non per niente il comune aveva incollato tempo fa nelle strade un’ordinanza lunga tre fogli dove minacciava, ai sensi d’una quantità di leggi e regolamenti, multe salatissime a chi contribuiva alla proliferazione di piccioni e gabbiani. Vietando di alimentarli, e ingiungendo di tappare, sbarrare o grigliare ogni pertugio nei muri, nei tetti e nei solai, atto alla nidificazione e al rifugio dei volatili.

Il provvedimento, premetteva l’ordinanza, serviva innanzitutto a garantire alle varie specie di uccelli che popolano l’area urbana “un buon livello di vita e di convivenza con la specie umana”.

Seguivano le vere ragioni dell’ukase: contenere la diffusione delle patologie e veicoli di infezione, evitare i danni causati dalle deiezioni agli edifici pubblici e privati, ai monumenti e opere d’arte e, soprattutto, garantire ordine e pulizia, il decoro della città.

Sta trasgredendo alle norme, rischia una bella multa, se se ne accorgono.

Spalanca la porta finestra e fa rumore. Picchia col pugno contro l’imposta, e finalmente il colombo o colomba si decide a sgombrare, ma senza troppa fretta. L’uccello va piano verso la ringhiera, s’infila con calma tra le volute di ferro, s’invola e si posa poco lontano, su un palo, E sta lì a fissare l’importuno, come a dire: appena te ne vai, riprendo a covare.

Il padrone di casa guarda nel nido. Sul povero giaciglio di sterpi sommariamente accomodati, spiccano due ovetti bianchissimi, pulitissimi, una miniatura perfetta di uova di gallina, uguali identici a quelli di cioccolata ricoperti di zucchero che egli regala a Pasqua alla nipotina, con dentro una minima sorpresa.

Questo non gliel’ha detto, l’ornitologo, che fossero forme geometriche così pure e candide. Basterebbe una leggera pressione con la punta della scarpa a schiacciarle, e tutto sarebbe finito. Ne uscirebbe un po’ di chiara e il giallo di due piccoli tuorli. Oppure no, due creaturine già mezzo formate, che forse si agiterebbero, occorrerebbe calpestale ancora.

Ha un brivido di raccapriccio.

Il piccione, fermo sul palo, continua a fissarlo, attento.