Eugenio Carmi
Su Eugenio Carmi (2016)
La mia amicizia di vita e di lavoro con Eugenio Carmi è cominciata più di sessant’anni fa e non è mai cessata. Potrei parlarne ore. Mi danno (giustamente), 5 minuti. Non intendo commuovere nessuno, ma raccontare solo dei fatti. Leggo per non perder tempo a cercare le parole.
Ci siamo conosciuti a Genova nel 1956. Lui era già consulente per l’immagine della Cornigliano, industria di Stato appena nata, che guadagnava molti soldi producendo con tecnologie d’avanguardia buon acciaio a buoni prezzi.
Entrai poi anch’io nell’azienda come capo ufficio stampa, chiamato al pari di Eugenio da Gian Lupo Osti, manager colto e coraggioso, di grandissima capacità e lungimiranza, il quale soleva dire che un’industria non deve produrre solo beni, ma anche cultura.
A Genova, e non solo, era piuttosto un’utopia, ma la cosa ci piaceva molto. Si lavorava bene, con libertà. Carmi creò con grande rigore non solo grafico un’immagine originale, fondata sull’equazione: arte d’avanguardia = industria d’avanguardia. Osti disse una volta che Carmi: “aveva dentro un motore di una potenza incredibile”, e aggiunse: “Credo di non aver mai incontrato una persona che avesse quelle sue capacità di motivazione e di perseveranza”.
Nel ’60 la ricca Cornigliano, assorbì l’Ilva, vecchia azienda di Stato piena di debiti, e nacque la grande l’Italsider, con 10 stabilimenti in tutta Italia e 40.000 dipendenti.
Carmi coinvolse e fece collaborare con l’Italsider i migliori artisti e fotografi italiani e stranieri. Anche per questa sua apertura internazionale al meglio disponibile, quegli anni furono fervidi e indimenticabili.
L’annus mirabilis fu il 1962, quando Carmi portò nelle fabbriche 10 famosi scultori italiani, inglesi, americani perché vi costruissero, con l’aiuto degli operai, grandi opere d’acciaio per la mostra di Spoleto Sculture nella città.
Nello stesso anno allestì a Mosca, per una esposizione dell’industria italiana, una mostra di dodici pittori italiani, 6 figurativi e 6 astrattisti. Evento che creò tra le autorità locali un certo imbarazzo. I giovani moscoviti trascurarono l’acciaio e si affollarono per scoprire l’arte nuova, che vedevano per la prima volta.
Tutte queste iniziative servivano a render nota nel mondo la nuova azienda e a darle prestigio, e ci riuscirono. Costò molto meno di quanto non paghino oggi i fabbricanti di carta igienica o di automobili per far conoscere i loro prodotti. Venivano da noi anche dall’America per vedere come facevamo.
Lavorammo in gradissimo accordo e ci divertimmo molto. Si era formato attorno a Osti un piccolo gruppo di “illuministi” (così ci chiamavano, sfottendoci). Durò per quasi dieci anni.
Alla fine, le cose cambiarono, ci fu una crisi. A Roma dissero: basta giocare, e venne la restaurazione con altre idee, dicevano “più serie”. Osti, Carmi e tutti noi fummo messi da parte ma, per come poi andò a finire, non mi pare che quelle altre idee fossero molto più serie e valide delle nostre.
Voglio aggiungere ancora una cosa: come i grandi musicisti hanno l’orecchio assoluto, Eugenio aveva l’occhio assoluto, sapeva già sempre quali erano i colori giusti, i loro rapporti esatti, l’equilibrio perfetto delle forme. Perseguire iI meglio era il suo modo naturale di fare e anche di essere, il punto fermo della sua armonia e felicità esistenziale.
Dovrei qui parlare di un’altra iniziativa di Carmi che ebbe notevole successo: la Galleria del Deposito del Gruppo cooperativo di Boccadasse, di cui feci parte anch’io, ma il tempo sta cadendo.
Lasciatemi però finire ricordando anche la cara Kiky, l’amata moglie di Eugenio, scomparsa nove anni fa, donna molto schiva ma artista raffinatissima e aggiornatissima, che merita di essere più conosciuta. Mi auguro che si riesca prima o poi a realizzare un catalogo delle sue opere. E’ già praticamente pronto da stampare, con stupende foto di Scianna e di Mulas. Chissà se c’è qualcuno che ci aiuta a trovare uno sponsor. Grazie.
Ciao Eugenio, ciao Kiky.
Carlo Vita