Eugenio Carmi
Ultimo saluto a Eugenio Carmi (2016)
“Basta, quel che ho fatto ho fatto, star qui seduto in poltrona non mi va, è ora di chiudere”. Così mi ha detto Eugenio il giorno prima di trasferirsi a Lugano nella clinica da lui scelta proprio per chiudere stoicamente la sua intensa vita. Ero andato a salutarlo a Genova, nella bella casa della figlia Francesca e del suo compagno Maurizio, e speravo non fosse l’ultima volta che ci vedevamo. Avrei voluto andare a Lugano, nella sua amata Svizzera, per un ultimo abbraccio, ma purtroppo non è stato così.
Era tornato a Genova dov’era nato e stava lì a guardare lo spettacolo del porto e del mare dalle grandi finestre alte sopra la storica via Balbi, un diorama a 180 gradi, una vista incredibile.
Panorama che ora a lui non andava poi troppo, anzi per niente: non sopportava di vedere arrivare e partire “quei mostri orribili” delle navi da crociera ingombranti come grattacieli sull’acqua, che turbavano sia il suo infallibile senso estetico sia l’amore per la natura e la spontaneità della vita.
Fosse stato un altro momento avrei potuto ricordargli quello che aveva scritto tanti anni fa di lui il suo grande amico Umberto Eco, mancato tre giorni dopo di lui (coincidenza junghiana, ci verrebbe da dire con un brivido).
Eco aveva scritto: la nascita alle arti figurative ha coinciso per Carmi con la scoperta e la assunzione di un paesaggio industriale”. La sua curiosità visiva tradiva per Eco “l’allenamento a una natura industriale a cui – come tanti di noi – è stato condizionato”. E concludeva: “Perche Carmi non ha scelto di fuggire a Tahiti? Ho il sospetto che se fosse nato a Tahiti sarebbe fuggito a Genova”.
Ora, tornato a Genova (ma da Milano, non da Tahiti), Eugenio si abbandonava ancora una volta a una delle sue (per me) consuete ribellioni al proprio “condizionamento a una natura industriale”. La quale, come ben si sa, è sempre frutto anche di effetti collaterali speculativi, che egli donchisciottescamente avrebbe voluto eliminare.
Ma non era il momento di abbandonarsi a una delle nostre solite appassionate discussioni che finivano per rafforzare la nostra ultra-sessantennale amicizia ed empatia. Cominciata alla Cornigliano-Italsider, dove lui era responsabile dell’immagine aziendale e io dell’ufficio stampa e attività editoriali. Un lavoro entusiasmante durato senza screzi quasi una decina d’anni sotto la guida di un grande e illuminato manager, Gian Lupo Osti. Poi nell’azienda le cose cambiarono, Osti e noi due fummo messi da parte, furono prese altre strade, che non portarono purtroppo lontano. Amen.
Carmi ed io proseguimmo a occuparci di un’altra iniziativa entusiasmante: la Galleria del Deposito una cooperativa che avevamo fondato nel ’62 con Luzzati, Costantini e altri importanti amici italiani e stranieri, e al quale poi si associarono anche Lucio Fontana e Max Bill, e proseguita poi a Milano con tanti lavori in comune. Che ci hanno sempre impegnato e divertito.
Carlo Vita