Frammenti autobiografici

Giocattoli

P stenta a ricordare giocattoli e giochi della sua infanzia. Di sicuro parecchi. Figurarsi, figlio unico certamente viziato, benché in una piccola famiglia d’abitudini piuttosto spartane, ma non oppressive.

Lo aiuta una vecchia istantanea mezzo bruciata dalla luce, scattata dal papà nel giardino di casa con la sua piccola Kodak ripiegabile (che ha probabilmente il soffietto bucato). P ha il grembiulino. Non quello nero, che porterà poi a scuola, ma bianco o forse azzurro, di bucato, certo indossato apposta per la foto, con un piede sul monopattino di legno, accanto a un orsacchiotto e a un’auto da corsa a pedali. La foto è in bianco e nero, ma l’auto è nel ricordo d’un rosso vivo, come l’alfa di Nuvolari. Col volante che manovra le ruote davanti. Una delle quali un giorno si rompe, e l’unica cosa che P rammenta bene è che il disco di lamiera s’è spaccato attorno a quello che egli impara nell’occasione a chiamare’mozzo’, e la ruota pende tutta storta: lui pigia i pedali ma la macchina non si muove più. Così P sta lì nel seggiolino a fare brun brun guidando e immaginando una gara dove arriva sempre primo.

Il monopattino è probabilmente acquistato dai genitori da Gemmo, il mitico negozio cittadino di articoli sportivi, armi e giocattoli costosi. Quante soste con la fronte appoggiata alle vetrine illuminate, sognando di possedere ogni cosa che vi è favolosamente esposta. Col monopattino tutto di legno (solo ricordo: le rotelle, circondate da una striscia arrotondata di gomma dura), P percorre chissà quanti giri attorno alla casa, sullo stretto marciapiedi di cemento, spingendosi con un piede a terra e poi sollevandolo per lasciarsi trasportare un po’ dall’abbrivio, in equilibrio precario.

Anche l’orsacchiotto ha le ruote, lo si può cavalcare e spingere avanti, sempre puntando i piedi. Una volta P ne ha visto e cavalcato uno nella stanza piena di giocattoli dei figli di un amico e cliente del papà, un pittore ricco. Poi un mattino, svegliandosi, ne trova uno identico accanto al suo letto. Forse portato da Santa Lucia, il 13 dicembre, festa dei bambini dalle sue parti. Forse, ripensandoci, un regalo del pittore ricco.

A quando risale la foto mezza sfocata e non datata? È certamente dell’epoca in cui Nuvolari ha vinto la Mille Miglia, di cui tutti parlano entusiasti. Andando a controllare, P vede che siamo nel 1930, quando lui compie cinque anni.

Più tardi, il grande Tazio entra addirittura di persona nella vita di P, assieme alla moglie Carolina e ai due figli Giorgio e Alberto, vicini di casa durante le villeggiature estive in montagna. Il Campione non è più vestito da meccanico con la tuta e gli occhialoni da corsa, ma in elegante completo doppiopetto principe di Galles, la faccia tagliente abbronzata e cordiale. Il Gigante delle piste chiacchiera e scherza con la mamma e col papà (gli arriva appena alla spalla, in privato il Mito s’è rimpicciolito), e porta P estasiato a fare un giretto in macchina, guidando molto piano. P gioca con Alberto, il secondogenito., Le giornate sono serene e felici, nessuno immagina che quel bambino andrà a raggiungere, ad appena diciott’anni, il fratello. Difatti il primogenito Giorgio l’ha preceduto, alla stessa età, nel paese in cui, che si sappia, non ci sono automobiline da corsa e altri balocchi.

Un regalo educativo è la scatola delle Costruzioni. Archi, colonne, assicelle e mattoni per fare muri, torri , palazzi con pavimenti, scale, pianerottoli. Tutto in noce massiccia. P passa molto tempo a costruire, ma ricorda soprattutto il piacere di rimettere, a gioco finito, ogni pezzo ordinatamente (e un po’ maniacalmente?), nella scatola.

Un fuciletto da caccia a due canne, perfetta imitazione in scala di uno vero, è senza dubbio un dono del pittore, che si sarà probabilmente sdebitato con l’avvocato, sempre pronto ad aiutare gratis gli amici nelle controversie giudiziarie. È bellissimo e spara fuori ad aria compressa, ma piano, due proiettilini di legno. P vive con quel fucile tutte le sue avventure immaginarie di caccia e di battaglie con gli indiani. Molte si compiono in casa, disturbando la quiete del nonno e le faccende domestiche. Fino al momento in cui la mamma, esasperata e in certi giorni molto nervosa, grida basta!, gli strappa il fucile e lo sbatte contro una sedia piegandolo in due. Se P chiude gli occhi rivede la scena attimo per attimo e risente le proprie urla di disperazione. Poi anche la mamma scoppia a piangere, ma non gli chiede scusa. E anche P non chiede scusa del disturbo che ha arrecato, ma, a quando gli pare di ricordare, non serba rancore. Cerca di raddrizzare le canne piegate, ma il fucile non è più come prima.

Arriva il Meccano. P non ricorda il numero di scatola (non certamente la numero 7, che è la più grande, riservata ai bambini ricchi), ma fornita ugualmente di una quantità sufficiente di sbarrette forate di un bel colore verde, di placche rosse, di ingranaggi e di rotelle d’ottone con vite da fissare ai perni, di pulegge (P impara che così si chiamano le rotelline rosse che girano liberamente attorno al loro asse), di viti, dadi, cacciaviti, chiavi ecc. Con la numero 7 si potrebbe costruire, per esempio, un enorme mulino con tanto di pale rotanti, come quello che sotto le Feste occupa intera una vetrina di Gemmo. La sua scatola più modesta serve comunque a dare a P le elementari nozioni meccanico-impiantistiche, preziose nel corso della vita per aggiustare qualcosa di rotto, a cominciare dalla piccola bicicletta, che Santa Lucia gli porta… quando? Probabilmente prima del primo Meccano.

A proposito di Meccano: P scopre da grande che è un giocattolo inglese, inventato da un tizio di Liverpool all’inizio del ‘900, e che anche la Ṃärklin (ditta tedesca specializzata nei modellini in scala) ne produce più tardi su licenza uno simile, ma fatto di pezzi ‘pesanti’, tipicamente tedeschi, che non piacciono a P. Egli ricorda vagamente, di qualche S. Lucia dopo, una scatola Meccano di un numero più alto, forse comperata con il suo stesso contributo in Lire e i Centesimi questuati in famiglia e infilati un po’ alla volta nel salvadanaio. Esempio edificante di piaceri conquistati col risparmio.

Per i suoi 10 anni P riceve un regalo bellissimo: un vero tavolo da falegname con tutti gli strumenti per lavorare il legno, costruito dallo zio Gennaro, fratello della mamma, falegname mezzo dilettante e mezzo artigiano. Non si sa mai, meglio che impari un mestiere, dice il nonno.

E per completare l’educazione pratica del giovanetto viene poi la scatola del piccolo elettricista, grazie alla quale P impara i rudimenti dell’elettrotecnica (il motore elettrico, la dinamo ecc.).

Crescendo e leggendo i fumetti dell’Avventuroso, si rinfocola in P la passione per le armi e le inchieste poliziesche. Gli regalano per un compleanno una scacciacani tipo automatica. È fine luglio, sono ospiti di un albergo in montagna. Alle sette del mattino scende nella sala da pranzo deserta e scarica trionfalmente in aria tutto il caricatore, prima che gli inservienti e la direttrice dell’hotel riescano a raggiungerlo e disarmarlo.

In autunno, scongiura che gli confezionino un cappottino fatto come quello con le spalle ‘a raglan’ e la cintura stretta in vita dell’Agente Segreto X9 (disegnato, saprà P molto dopo, da quel Michelangelo dei fumetti che fu Alex Raymond). Si aggira in Via Nuova stringendo nella tasca destra la finta Browning e in quella sinistra, in mancanza di meglio, una pistolina di latta.

Durante un viaggio a Monaco con i genitori, trova per pochi soldi in un negozio d’armi in Sparkasse Strasse (che lui pronuncia ‘Scarpasse strasse’), una meravigliosa rivoltella a tamburo a otto colpi nichelata, grande e pesante come una vera, con la quale tocca il settimo cielo delle avventure immaginarie. Poi aggiunge alla sua panoplia un’altra rivoltella brunita a canna corta tipo Colt, sempre acquistata con i risparmi da Gemmo, che si carica addirittura con 6 bossoli a salve da 9 mm. Fanno un botto fortissimo, non solo adatto a scacciare i cani, ma anche a spaventare i bambini e gli adulti, le persone per bene più che i criminali.

La sera, si addormenta con la Colt sotto il cuscino. Le altre armi, tutte con regolamentari custodie e cinture di cuoio, stanno appese ordinatamente su una sedia accanto al letto. Assieme all’ex moschettino da balilla, che non ha più la baionetta ripiegabile, spezzatasi durante un gioco con gli amici (i capiplotone del Fascio ordinano invano ai balilla di riservare quella finta arma solo per addestramento del sabato al gioco della guerra, che prima o poi si dovrà fare e diventerà una cosa tragicamente seria). Lavorando al suo banchetto di falegname, P ha sistemato sotto la canna del fucilino rotto un caricatore a tamburo e un’impugnatura di legno, trasformando uno dei simboli fasulli del fascismo in un simulacro di mitragliatore Thomson, pronto per finte battaglie tra finti gangster e finta polizia americana.

Come forse svela questo frammento lunghetto, il gioco ha una parte importante nella vita di P (ludens). Chissà perché egli ha trascurato sin qui di accennare al motore a vapore con lo stantuffo, da avviare dopo laborioso caricamento con acqua e accensione dello stoppino ad alcol; o al teatrino smontabile con due scene a piacere: giardino e salotto in casa principesca. Ma l’elenco potrebbe allungarsi anche ad altre età, nelle quali P ha sempre, a sue spese, ‘giocato’.

A proposito del piacere di P di rimettere ordinatamente a posto i pezzi, dopo il gioco: trattasi di normale caratteristica d’una ‘personalità’ o indizio d’una tendenza compulsiva? A P, ora, più che i giochi, pare che il ricordo rimasto più vivido sia quello del loro riordino. E, a riordino ultimato, l’inconcludente soddisfazione di contemplare un lavoro ben fatto.

Un rituale rassicurante? La ricerca del perfezionismo? L’attenzione ai dettagli più che all’essenza del problema? E poi (a proposito), la preoccupazione delle liste, degli elenchi. E l’eccessiva dedizione al gioco-lavoro, a scapito della famiglia. Sembra siano tutte manifestazioni dello stesso psicodisagio. Un vaso già scoperchiato da tempo, ma sempre troppo tardi.