Storie

Storie Brevi – Speriamo che
Spartaco

Le undici è l’ora migliore in aprile per un funerale. Se c’è un bel sole che non picchia ancora troppo come in estate, si può stare comodamente senza soprabito. E anche se piovesse, non sarebbe come d’inverno o d’autunno. Verrebbe giù una pioggerella sottile che favorirebbe la tristezza della circostanza, ma senza il vento che frastorna tutti nelle cattive stagioni, con gli ombrelli che fanno vela e distraggono anche i più addolorati.

Oggi alle undici c’è il funerale dell’amico Spartaco. E c’è il sole. Si è avuto tutto il tempo per arrivare con comodo davanti al luogo consueto degli incontri, la sua casa, dove giace vestito con l’abito a doppio petto di vigogna, che gli amici gli invidiavano moltissimo alle feste da ballo. I compagni di scuola si salutano con un cenno silenzioso, cenno di non si sa quale intesa, aspettando l’avvio delle faccende mortuarie. Fra una cosa e l’altra, ci vorrà un’oretta o poco più, e poi si potranno ritrovare al bar per rievocare, davanti a un bianco secco, gli aneddoti più malinconicamente divertenti sul caro scomparso, e per chiedersi come possa essere accaduto proprio a Spartaco quello stupido incidente, a lui così furbo, così bravo a cavarsela sempre, sia pure per un pelo.

Bisognerà entrare, condolersi, dare l’ultimo saluto, assistere alla saldatura a stagno della scatola di zinco e all’avvitamento della cassa di legno che la contiene, prendere sulle spalle in sei il feretro, portarlo fuori al sole fino al carro funebre e farvelo scivolare dentro con l’aiuto dei necrofori.

Si capisce subito che, mentre il corteo si avvia lentamente verso la chiesa, verrà a molti l’ovvio pensiero della primavera finalmente tornata e dei suoi doni rigeneranti che quel ragazzo nella bara non potrà più godere. Solo gli amici sanno che Spartaco non aveva bisogno di stagioni favorevoli per rigenerarsi. Ogni giorno di ogni stagione egli era sempre al meglio, perfettamente rigenerato, sicuro e disponibile, con quel suo sorriso furbo-ingenuo di sfida.

E non mancherà tra gli accodati chi starà congetturando sulle ragioni – motivazioni è il termine giusto –, che avevano indotto il padre dello scomparso – e che se non lui? –, a imporre un nome tanto impegnativo al neonato. Avrà forse voluto infondergli l’amore per la libertà che le storie dicono animasse lo schiavo e gladiatore trace. O forse voleva vincolare il figlio alle idee di quei rivoluzionari tedeschi finiti così male dopo le prima guerra mondiale. O, più semplicemente, gli sarà piaciuto il suono sdrucciolo ed eroico di quelle tre sillabe: Spàr-ta-co. Incollate, comunque sia, per sempre al figlio. A nessuno degli amici è mai venuto in mente di chiedergliene il perché. Spartaco era Spartaco, e tanto bastava.

Chi l’ha conosciuto bene, come Emilio, sa che non c’era traccia di propensioni all’eroico nell’amico morto. Che era, invece, sempre pronto a trasformare ogni pretesto offerto dalla vita in spunti di irresistibile teatralità, di scherzi allegramente spettacolari. Era un simpatico, vitalissimo pagliaccio.

Il carro funerario là davanti non si vede, nascosto dalla folla incolonnata dei parenti, degli intimi, dei conoscenti, dei clienti del padre imprenditore fattosi dal niente. I compagni di scuola hanno scelto di piazzarsi indietro, nel corteo, e scorgono sopra le teste della gente in fila solo le punte verdi delle foglie di palma intrecciate alle tante corone. Si stagliano nel cielo azzurro e oscillano solidali con i sobbalzi del furgone sulla strada sconnessa. Il loro agitarsi sarà probabilmente interpretato da qualcuno come uno dei tanti segni del fato, della morte inevitabile, della sua crudele indifferenza. Per Emilio, invece, quello è un segno d’allegria, d’affermazione della vita, nonostante tutto.

Ma Emilio non fa testo. Fatica a resistere, ai funerali, alla tentazione di scoppiare a ridere. Anche a Spartaco sarebbe venuto da ridere. Era uno di loro. Uno che non si lasciava incantare dalle apparenze. Una volta, mentre pedalavano in bicicletta per andare in piscina, aveva detto che non riusciva a concepire persone tanto stupide da sprecare i tre famosi desideri della favola. Lui invece, per prima cosa, avrebbe chiesto alla strega l’onnipotenza. Per seconda, avrebbe desiderato che la vecchiaccia scomparisse. E si sarebbe tenuto da conto il terzo desiderio per ogni evenienza possibile. Emilio ricorda di aver pensato, ascoltandolo, che non avrebbe saputo essere più furbo.