Storie

Storie Brevi – Sono le contraddizioni
Asl

Segua i trattini gialli, ordina il portiere all’ingresso dell’ospedale.

Emilio s’inoltra nello spiazzo camminando attento lungo la linea giallo-rosso-blu tratteggiata sull’asfalto, fino al punto in cui i segni gialli si staccano dai rosso-blu e girano a destra, puntando verso una porta a vetri socchiusa.

Davanti sostano parecchie persone con qualche carta stretta in mano. Qualcuno fuma.

Una targa sul muro elenca una sfilza di cose. Saranno le prestazioni sanitarie gestite dall’ufficio che sta lì dentro. Emilio cerca la voce che gli interessa, ma non la trova. I caratteri sono belli e chiari, ma le parole sono scritte in oscuro gergo tecnico-burocratico.

Si affaccia oltre la porta a vetri e resta sgomento. C’è uno stanzone d’attesa, dove siede silenziosa una piccola folla di gente, per lo più avanti con gli anni.

Fuori, era solo la punta dell’iceberg. Ci sarà da aspettare per ore prima di accedere agli uffici. Che saranno certamente oltre le due porte, in quel momento chiuse, a destra e sinistra nello stanzone. Una si apre, esce una persona e un’altra s’infila dentro.

Emilio si guarda in giro in cerca di indicazioni, per capire se la porta che tratta il caso suo è la destra o la sinistra. Le pareti sono tappezzate di cartelli scritti al computer, di poster con prescrizioni dietetiche, descrizioni schematiche di patologie, organigrammi, ingiunzioni a non fumare. E’ difficile orientarsi, anche perché non poche istruzioni al computer sono integrate da cartellini appiccicati sopra o da cancellature e modifiche tracciate a mano col pennarello.

Deve prenotare una visita?, gli chiede una donna, che siede con la borsa della spesa sulle ginocchia.

No, Emilio deve solo denunciare di aver cambiato indirizzo.

Allora la sua è quella porta lì a destra, ma deve prendere il numero o perde il turno. La donna indica vicino alla porta una scatola verde a forma di lumaca piatta.

Ah già, grazie della gentilezza. Emilio va alla lumaca, che non aveva notato, e tira una linguetta che sporge da una fessura. Esce un cartiglio verde con sopra scritto K32. Confronta il numero con quello che compare su un quadro luminoso appeso in alto sopra la porta ed esclama perplesso: ma lassù segna 322!

Non badi alla K, dice la donna. Faccia vedere: ecco, lei ha il 32, è appena entrato il 26, tra cinque numeri è il suo turno. Si sieda e aspetti.

C’è un posto libero proprio accanto alla donna, Emilio si accomoda, dà un’occhiata all’orologio: mezzogiorno e un quarto.

Ce la fa, non si preoccupi, lo rassicura la donna, qui chiudono alle due. Per le prenotazioni, alla porta a sinistra, dove vado io, sbrigano un numero in cinque-sei minuti. Vede, io ho il B96 rosso – addita un altro quadro luminoso che segna 488 –, la B e il 4 non contano, dunque davanti a me ci sono solo sette numeri. Gli impiegati sono due, quindi i numeri prima di me sono…meno di quattro: in mezz’oretta dovrei sbrigarmela. Sono già qui da più d’un ora. Sospira. Ma ci sono abituata, ci vuole pazienza. Per lei all’altro ufficio occorrerà più tempo. Le devono controllare i documenti, rifare la tessera, e c’è solo un impiegato: minimo dieci minuti per numero.

Non è solo per l’indirizzo: io abito qui, ma la mia padrona di casa mi affitta l’appartamento soltanto come “seconda casa”, per potermi mandare via quando le comoda. E allora ho dovuto prendere la residenza in un’altra città, da mio figlio. E adesso chissà se posso avere il medico qui. Sarebbe un bel guaio dovermi fare ogni volta 150 chilometri avanti e indietro per le visite e le prescrizioni.

Ci vuole una dichiarazione che lei è affetto da una patologia grave, e allora può avere il medico qui. Lo so perché una mia amica aveva lo stesso problema.

Lei dice? Io ho avuto un ictus qualche anno fa, sono sempre in terapia, ma per fortuna sto bene. Non so se…

Va bene, va bene. E complimenti, se non lo dice non si vede. Non le chiederanno niente, solo di farsi fare dal suo medico la dichiarazione. A loro basta, è una formalità burocratica. Stia tranquillo.

Grazie, lei mi toglie un pensiero.

Emilio guarda meglio la donna. E’ vestita modestamente, ma c’è qualcosa in lei, forse com’è pettinata, come porta annodata la sciarpa, che le dà un tocco di eleganza. Da come parla, sarà una maestra, una professoressa.

E’ tutta una truffa, è tutto un casino.

Un vecchio arruffato, seduto due sedie più in là, ha ascoltato e interviene a dire la sua. Il signore lì sta benone, a quanto sembra, e glielo auguro. E invece è grave. Perché?… Perché lo dichiara il suo medico. Che racconta una balla, ma per quelli di là nell’ufficio va bene così, basta una firma e non è più una balla. Figuriamoci se si preoccupano di controllare. Scusi sa, non lo dico per lei, ma quelli là dentro sono dei pelandroni, dei rubapane, dei mangiasoldi. Io sono qui da due ore, tutti qui ad aspettare i loro porci comodi. Guardi che coda, guardi tutta questa gente che deve perdere una mattinata prima che si decidano a chiamare. E quelli di là, intanto, staranno lì a chiacchierare, a telefonare a casa e all’amante. E’ una vergogna, uno scandalo, non si può andare avanti così, so io cosa ci vorrebbe…

Cosa ci vorrebbe?, chiede tranquilla la donna con la borsa della spesa.

Ci vorrebbe… ci vorrebbe che lavorassero…, che fossero meglio organizzati… e poi… Il vecchio cerca altri argomenti, ma la domanda lo ha spiazzato.

Le dirò io cosa ci vorrebbe, prosegue la donna, che l’assistenza sanitaria fosse solo per lei. Allora niente sale d’attesa, niente numeri, pensi che pacchia.

Eh già…, dice il vecchio, ma non sa cosa aggiungere. E’ troppo preso dalla sua scontentezza per stare a quel mezzo scherzo. Si rannicchia sulla sedia, fissa il pavimento.

Anche altri attorno, che hanno sentito, si scambiano sguardi furtivi ma tacciono, imbarazzati. Uno brontola: eh, sì che…, come se volesse fare un lungo discorso. Non sa bene quale, cerca in giro solidarietà, ma non la trova.

Sono le contraddizioni della stato sociale, mormora dopo un po’ la donna quasi tra sé. Assistere tutti significa scontentare tutti. Qualcosa certo non va, ma tutto sommato funziona. Il fatto è che la gente ha, o avrebbe, il potere, ma se ne serve solo per brontolare.

Emilio tira fuori da una tasca un giornale e si immerge nella lettura. Nella sala, il silenzio è interrotto ogni qualche minuto dal ronzio di uno dei quadri luminosi che avanza di un numero. Chi è chiamato si affretta a una porta.

Arriva il turno della donna con la borsa della spesa. Si alza, augura sorridendo buona fortuna a Emilio, che ricambia e pensa: brava persona.

Poco dopo tocca finalmente a lui. Va alla porta di destra, su cui è incollato un cartello con scritto a caratteri cubitali BUSSARE, e sotto più piccolo, tracciato a mano in pennarello rosso: tirare.

Bussa piano, sente dire avanti, tira. Entra cauto.