Storie Brevi – Sono le contraddizioni
Animali
Poi cominciano a parlare di bestie.
Si dice animali, protesta Franca, e tutti sono naturalmente d’accordo.
Da ragazza ho avuto un gatto simpaticissimo che aveva con me una confidenza incredibile, racconta Franca. Non ricordo come si chiamava, ma mi veniva sulle ginocchia fin che studiavo, e si addormentava. Dormiva così profondamente, che se gli sollevavo la testa e la lasciavo andare ciondolava giù come se fosse morto. La prima volta l’ho creduto davvero morto e l’ho scosso finché non si è svegliato. Quella sì che era fiducia, altro che diffidenza dei gatti.
Secondo me, dice il marito Ottavio, eri tu che lo facevi addormentare. Per noia.
Sì, tu scherzi sempre e fai il cinico, ma quando la Puffi è caduta dal poggiolo sembravi matto. Sei corso tu a raccoglierla e a portarla dal veterinario.
Certo, mi faceva pena, povera Puffi. Che poi è morta ma di vecchiaia, un paio d’anni dopo.
Noi avevamo un barboncino, te lo ricordi, Giulia?, dice Emilio. I bambini l’avevano voluto chiamare Snoopy, allora era appena uscito Linus. Era intelligentissimo. La mattina veniva in camera da letto senza far rumore e metteva il muso sulle coperte dalla parte mia. Stava lì in silenzio finché non mi svegliavo. E solo allora mi leccava la faccia. Ma solo se ero veramente sveglio. Se mi muovevo ma ero ancora mezzo addormentato, stava ad aspettare. Se invece ero sveglio, anche immobile e con gli occhi chiusi, cominciava subito a leccarmi. Silenziosamente, per non svegliare Giulia. Poi, quando mi alzavo, andava ad appoggiare il muso dalla parte di lei e ricominciava la scena. E dopo andava dai bambini, tutte le mattine. Chissà come faceva a capire quando eravamo svegli.
Povero Snoopy, è stato investito da un’auto, dice Giulia.
E’ stata colpa mia, una sciocchezza mia. Era d’agosto, Giulia e i bambini erano al mare e io di notte col fresco lo portavo a passeggiare sulla piazza della Rimembranza. Una sera, era tardi, non passavano più automobili sulla strada che costeggia la piazza, e ho deciso di scioglierlo dal guinzaglio, lo spazio era tantissimo e stavamo dal lato delle case, al sicuro. Lui si è messo subito a scorrazzare sull’erba delle aiuole, ma improvvisamente è partito come una freccia senza ascoltare me che gli correvo dietro. In un lampo ha attraversato tutta la piazza, sarà stato più di cinquanta metri, e poi la strada. Ed è andato ad accucciarsi sull’altro marciapiede, dove si è messo a guardarmi con la lingua fuori. Torna subito qui, gli ho urlato, e sono corso verso di lui. In quel momento ho sentito il rumore di una macchina che arrivava. Mi è venuto un brivido e gli ho ordinato stupidamente: sta lì fermo, e gli ho fatto segno di non muoversi. Lui ha creduto che lo chiamassi per giocare e mi è venuto festoso incontro. Proprio mentre passava l’auto. L’unica auto in quella mezz’ora. L’ha preso in pieno. E’ morto sul colpo. E io sono rimasto lì disperato. Il guidatore è sceso e si è scusato, ma io abbracciavo Snoopy e neanche gli badavo.
Ero solo, la famiglia in vacanza, adesso cosa faccio, cosa dico ai bambini e a Giulia. Mi immaginavo i rimproveri, l’avevamo lasciato a te, te lo sei fatto ammazzare, sei il solito incosciente.
Cosa dovevo fare del cane morto? Ho portato lì l’auto, l’ho chiuso nel bagagliaio e sono tornato a casa. Ma non me la sentivo di dormire da solo. Così ho telefonato a Flavio, che aveva anche lui la famiglia in vacanza e stava guardando la televisione.
Vieni a dormire da me, mi ha detto. Così ho preso l’auto con Snoopy nel bagagliaio e sono andato da lui. Mi ha dato un sonnifero fortissimo e la mattina dopo ero più disperato ancora e intontito. Cosa faccio adesso, gli ho chiesto.
Portalo subito al canile municipale. Loro hanno il forno crematorio. Non puoi tenerlo ancora nel bagagliaio, col caldo che c’è puzzerà già.
Così sono andato al canile, mi hanno dato da firmare una carta, ho pagato e tutto è finito, almeno per Snoopy. Ma adesso dovevo telefonare a Giulia.
Era proprio disperato al telefono, prosegue Giulia. Ero addoloratissima anch’io, ma Emilio era così abbattuto che non mi sono sentita di rimproverarlo. E poi mi ha raccontato del sogno. Ti ricordi del sogno?
Sì che mi ricordo. Un paio di notti prima mi ero sognato una carta da gioco su un tavolo, con sopra cinque segni, ma non erano cuori o picche, non capivo cosa fossero, e mi sono svegliato di soprassalto. Ripensandoci dopo, mi sono reso conto che erano segni di zampe di cane, che dovrebbero essere quattro, e invece erano cinque. E Snoopy è morto la notte del cinque agosto.
Premonizione, dice Franca. Uh, guarda, m’è venuta la pelle d’oca. A me, toccando ferro, non è mai successo.
Neanche a me, dice Ottavio, che si diletta di psicologia. Emilio, hai sognato una carta da gioco. Interessante. Poteva essere una carta qualsiasi, ma tu hai detto “da gioco”. Gioco vuol dire scelta. E rischio. Scegli una carta e rischi tutto. Sì, caro Emilio, il sogno ti ammoniva a scegliere bene. Hai scelto male. Hai scelto la carta sbagliata. Ma c’è uno sbaglio più grosso, che ci coinvolge tutti. Lo sbaglio è che non sappiamo come comportarci con gli animali – e non parliamo con le persone, con i figli –. Non ci preoccupiamo di educare i cani, per esempio. Siamo dei sentimentali approssimativi, potenzialmente degli assassini. Ci sono alcuni comandi essenziali che dovrebbero essere insegnati a tutti i cani: sta fermo, va’, vieni, siediti. I cacciatori addestrano i cani da caccia, non dovrebbe essere difficile farlo con tutti, è una questione di metodo. Anche per la loro sopravvivenza.
E’ vero, riconosce Emilio, siamo dei cialtroni. Ma guarda che io non ho scelto la carta sbagliata. Non avevo scelta: sul tavolo c’era solo quella carta.Non lo dico per giustificarmi, riconosco di aver sbagliato, però gioco può voler dire “caso” ma anche “sorte”. E la sorte…
Eh, la sorte, il destino, dice Ottavio, sono invenzioni che abbiamo escogitato per giustificare le nostre incapacità, le nostre impotenze. Quanto al caso…
Ecco, andiamo avanti tutti un po’ a caso, interviene Giulia. Siamo incapaci con gli animali, figurarsi con i figli. Soprattutto voi padri, non capite niente. Noi donne, almeno, un po’ d’istinto in più lo abbiamo.
Anche questo è vero, ammette Emilio. Ma tornando alle bestie, anzi agli animali, mi ricordo di un altro cane che avevo quando ero giovane e col quale non mi sono comportato come si dovrebbe. Era un cucciolo di cane lupo, però crescendo si è rivelato un bastardo. Aveva le zampe troppo corte e un modo buffo di correre. Anche per questo gli ero molto affezionato. Prendevo la bicicletta e lo portavo a passeggiare. Pedalavo e lui si sforzava di venirmi dietro e mi divertivo a vederlo arrancare. Povero Bean, lo avevo chiamato così perché allora cominciavo a studiare l’inglese e “fagiolo” si dice “bean”. Un giorno, non mi ricordo più perché, la mamma aveva chiamato il veterinario per farlo visitare, mentre io ero fuori. Quando sono tornato a casa, il dottore lo stava auscultando.
Questo cane è molto emotivo, mi ha detto. Quando ti ha sentito entrare i battiti del suo cuore si sono accelerati moltissimo. Stacci attento, non farlo agitare troppo, non ha un gran cuore.
Non potrò più portarlo a correre dietro la mia bicicletta?, ho chiesto io.
Non farlo mai più, ha detto lui. Il cane vuole seguirti ad ogni costo. Sarà anche per questo che ha il cuore malandato. Può restarci secco.
Poi io mi sono trasferito in un’altra città per lavoro e il Bean è rimasto con la mamma. L’ho rivisto solo qualche volta. Mi riconosceva immediatamente, mi saltava addosso come fanno i cani, ma subito dopo mi metteva la testa tra le gambe e guaiva, proprio piangeva, come se dicesse: perché mi hai abbandonato? Poi mi baciava, mi girava intorno, mi faceva delle feste che non finivano più, se la faceva addosso dalla contentezza. Gli veniva una gran sete per l’emozione e correva avanti e indietro a bere dalla sua ciotola. Quando capiva che me ne stavo andando cominciava ad agitarsi, protestava, era uno strazio, mentre scendevo le scale lo sentivo latrare di dolore dietro la porta. Pareva che dicesse: non andartene di nuovo, portami con te. Da strapparti il cuore. Avremmo dovuto tenerlo, ma la casa che avevamo allora era piccola, ci era appena nato Marco, era tutto molto complicato.
Poi la mamma mi ha scritto che era morto. Un cancro. Povero Bean. Ecco un altro cane che vorrei sepolto da qualche parte, dove andarlo a salutare, ogni tanto. Lui, e anche Snoopy.
Cancro da malinconia, da abbandono, dice Ottavio. Anche di Mozart vorremmo avere la tomba. Anche lui disperso come cani e gatti. Vorremmo avere un posto dove ogni tanto poterci liberare un po’ dei nostri rimorsi. Anche per chi non va in chiesa. Ma posso dirvi una cosa? Non so se ve ne siete accorti, stiamo parlando solo di animali del passato. Tutti abbiamo avuto un gatto simpaticissimo, un cane intelligentissimo e affettuosissimo. Abbiamo avuto.