Storie Brevi – Gesti
Gesti
Quei due sono là, in piedi, oltre la linea di binari che va nella direzione opposta, e parlano.
La distanza non consente di percepire le parole che dicono, ma solo di osservare le bocche che le pronunciano e i gesti che le accompagnano. E anche gli atteggiamenti dei corpi, le cosiddette posture.
E’ soprattutto uno dei due a parlare. Anzi, è l’unico che parla, con molte parole e molti gesti. L’altro sta a sentire. Se dice qualcosa, devono essere monosillabi accompagnati da qualche assenso del capo. Però lento, misurato, stentato, forse reticente. Che contrasta con la sicumera impetuosa del parlatore.
Sono due giovanotti sui trent’anni. Quello che parla e parla è magro, alto, abito beige di buona fattura ma che gli casca addosso. E lui non ci bada, preoccupato soltanto, o così sembra, dell’argomento della sua conversazione-monologo e delle argomentazioni che porta a sostegno delle sue tesi.
L’altro, l’ascoltatore, è grassottello, meno alto di qualche centimetro, elegante nella sua giacca blu quasi da cerimonia, ma con i calzoni grigi che gli ricadono troppo sulle scarpe nere. Non perché sia trascurato come il parlatore, ma perché segue pedissequamente la moda corrente, che vuole tutti trasandati nelle braghe. E anche questo accentua la differenza di statura dall’amico o collega magro. Dall’irruenza del quale si difende tenendo le braccia fortemente incrociate sul petto.
Il magro sembra rievocare una vecchia contesa trascinata da anni, di cui ripercorre le varie tappe, che devono già essere ben presenti alla memoria paziente del grassottello. A un tratto il parlatore arresta il suo fiume in piena per consultare nervosamente certe carte che custodisce tra le pagine di un giornale malamente ripiegato. Legge qualcosa ad alta voce seguendo le righe con l’indice puntato, e subito ne contesta il senso, il significato, il valore picchiando la mano contro i fogli, che poi serra di scatto nel giornale.
Chiude le dita a pugno lasciando fuori il pollice, e lo rivolge verso la città, verso qualcuno lontano, e riprende a parlare, con evidente sprezzo, di chi ha escogitato quanto sta scritto sulle carte.
Batte ancora con la palma bene aperta contro giornale e carte, a tempo con le obiezioni che ribadisce una a una, con chiarezza e rancore. Quindi infila il pacco del giornale sotto un’ascella, avanza di un piccolo passo, riducendo la già breve distanza di conversazione dal grassottello – che si trattiene chiaramente dall’indietreggiare –, e porta entrambe le mani con le dita a mucchietto all’altezza del viso, stringendo le spalle, e curvandosi ancora un poco in avanti. E da lì, scuotendo la testa, chiede e si chiede se le tesi sostenute da quelli là – solleva un po’ il mento a indicarli –, non siano veramente inconsistenti. Rimane così, con le dita ammucchiate contro la faccia del grassottello, e finalmente tace, aspettando una risposta, che non può essere che d’assenso e di solidarietà.
Ora il grassottello deve dire la sua. Guarda in alto, sfuggendo gli occhi inquisitori del magro. Si prende tempo. Poi scioglie senza fretta braccia e mani dal petto, le allarga basse con le palme in avanti, movendole in qua e in là, in sintonia con le oscillazioni della testa, e lascia andare poche parole. La ragione per lui sta evidentemente un po’ da una parte e un po’ dall’altra.
Brusco lo interrompe il magro, riprendendo distanza. Raggrinza la faccia e fa col capo risolutamente no, no: le solite scappatoie, il solito non prendere posizione. Ripiglia dall’ascella il pacco di giornale e carte, ci picchia su ancora deciso con la palma aperta, e riformula una per una le sue contestazioni, enumerandole sulle dita. Arretra di un altro passo e allarga le braccia: non vede come possano reggere le proposizioni inconsistenti della controparte. Ribadisce le sue ragioni, che ridemoliscono pezzo a pezzo il castello degli argomenti avversi. Non riesce a capire, non concepisce come possano sorgere dubbi nel grassottello.
Il quale alza una mano e arresta il profluvio del magro.
No, non ha solo dubbi – non può più tornare indietro, deve chiarire le sue obiezioni, è un uomo tranquillo, non ama le polemiche e non ha l’eloquio facile, ma ha le idee chiare su ciò che è giusto e ingiusto –. Poche parole gli bastano a individuare il punto debole negli argomenti del magro, e un dito solo è sufficiente a centrare esattamente il problema.
Ma c’è qualcos’altro. Il grassottello, a rafforzo di quanto sostiene, solleva un braccio e muove la mano nell’aria, nel modo in cui ci si rifà a qualche motivazione morale, ideale.
Il magro lo ferma e scuote con forza la testa. Qui ti volevo. No! No! E no!
Leva anche lui un braccio al cielo ma esageratamente, si solleva addirittura sulle punte dei piedi, ruota in giro lenta la mano che stringe giornale e carte. Certo, certo. Se si scantona verso le grandi idee, se ci si abbandona alle utopie, tutto può andare, tutto può apparire plausibile. Ma in concreto – il magro rinfila rapido il pacco cartaceo sotto l’ascella, riporta gli avanbracci in avanti, gomiti stretti al busto, mani raccolte a conca, pollice contro le altre dita riunite, aperte e richiuse ripetutamente a pinza –: stringi stringi, in realtà cosa significano i voli, le fantasie? Niente! No. No, non ci siamo! E’ tutto sbagliato. Solo quello che dico io – si batte ripetutamente una mano al petto –, è reale, è vero. Credimi solo io sono sincero, io ci credo, io sono nel giusto.
Momento di silenzio, occhi negli occhi.
E qui, sorpresa. Il magro abbandona all’improvviso i toni polemici, ammorbidisce la durezza dei toni e la rigidità del corpo, si curva, piega un po’ la testa su una spalla. Ora sta facendo appello ai sentimenti. Sta chiedendo, addirittura con umiltà, che si riconoscano le sue ragioni. Resta così in attesa, palme rivolte al grassottello.
Ma ecco che solleva occhi e capo, guarda oltre l’interlocutore e torna di scatto alla consueta sicumera: il suo treno sta arrivando.
Posa in fretta una mano sulla spalla dell’altro, gli dice qualcosa – ci rivendiamo, pensaci – e si dispone a partire.
In un attimo lo spazio è occupato dal sipario delle vetture che si arrestano stridendo, degli sportelli che si aprono, di qualche viaggiatore – ombra in controluce –, che scende e sale.
Fischio, le porte si richiudono, il treno si muove, scivola via, riappare la banchina già vuota.
Si scorge solo il grassottello di spalle, che sta scomparendo nel vano dell’uscita, con le sue braghe che gli ricadono esageratamente sulle scarpe.