Svarianze
Vegetanimalia
Il rinoceronte è quello che finora mi ha preso più tempo.
Scorro le paginette della mia agendina Quo Vadis per ricostruire il percorso, da quando ho cominciato questa serie di disegni, con i quali tento di assiemare una serie provvisoriamente chiamata Vegetanimalia (ma penso che il titolo resterà questo).
L’idea mi è venuta venerdì 12 agosto 2011, al solito sfogliando i raccoglitori in cui sono andato riordinando appunti grafici, doodles, scarabocchi di una vita (che per filautismo non butto mai via). Comincio sempre partendo da lì, sfiducioso come sono, per la mia inguaribile incertezza, che mi possa venire qualche idea, se non nuova, “interessante”.
L’inizio è stato abbastanza facile. Tema: piante e animali, qualche volta mescolati assieme in figure improbabili. Cose verosimilmente già fatte da altri (dopo un po’ m’è venuto in mente il vecchio amico Leo Lionni, tanto per dire). Per ogni disegno ho preso spunto da uno scarabocchio, cercando una soluzione logica o illogica ma a suo modo coerente, e sperando non troppo banale, a costo di cambiare, volta per volta, stile e tecnica. Che dev’essere il mio difetto di fondo, non avere uno stile che diventi “cifra” personale subito riconoscibile, ma non me ne importa. Mi basta riuscire a completare decentemente ciascuna “opera”, è il mio divertimento, poi le infilo tutte in un cassetto e nessuno, o solo un paio di amici le vedono: non è “arte”, è una mia autoterapia.
Andando avanti, naturalmente, la faccenda è diventata sempre più difficile. Gli spunti archiviati e che non avevo già usato il passato si stanno esaurendo, servono idee nuove, ahimè, e stentano a venire. Per ora, fino a giovedì 29 settembre, (anniversario della morte di Laura, e il 30 quello della mamma), giorno dopo giorno ho messo insieme 23 disegni (mica tanti), tutti “figurativi”. Invece in una serie precedente buttata giù mi pare l’anno scorso (ma potrebbe essere l’anno precedente, il tempo mi vola), ho fatto dei disegni un po’ astratti, sempre presi dai miei scarabocchi, anzi doodles (e così li ho intitolati).
Il penultimo disegno, dicevo, è quello che sinora mi ha preso più tempo. Avevo letto da qualche parte dell’ennesimo allarme per la sorte dei rinoceronti. Gli orientali, specie i cinesi, insistono a volere sempre di più la polvere dei corni macinati, considerata afrodisiaca. Allora il tema poteva essere: il mio corno non si tocca.
Sono partito dal rinoceronte magnifico e un po’ fantasioso di Dürer e l’ho rivestito come un mercenario o guerrigliero: kalashnikov, lanciarazzi, cartucciera a tracolla, scarponi da deserto e tuta mimetica. Anche il corno è mimetizzato e protetto da un lucchettone. Ho sofferto le difficoltà dei dilettanti nell’inventarmi lo “scurto” del kalashnikov e poi mi sono imbrogliato con le stringhe degli scarponi. Ho preso a modello una foto di scarpone militare e volevo infilare per bene le stringhe, occhiello per occhiello. Copiando da una mia scarpa, ho disegnato attentamente a matita l’intreccio e poi, ripassandolo a china…ho sbagliato i buchi! Ma ho lasciato il disegno così, con gli scarponi mezzo aperti come fanno oggi i ragazzi (e come farebbe il rinoceronte ad allacciarseli?).
Il disegno della tuta mimetica è molto realistico, tanto…che il rinoceronte quasi scompare! E’ lo sbaglio che faccio sempre quando mi perdo troppo nei dettagli (che mi divertono molto, però). Dovrei saperlo bene, il buon Arnheim sentenziava: “l’idea della creazione diventa sempre meno percepibile se lo sguardo deve districarsi tra i particolari”.
E pensare che mentre di giorno rinocerontavo, di sera stavo leggendo la prima lezione di scienze cognitive, dove il Legrenzi ribadisce il concetto e ricorda che, quando abbondando i dettagli, il gioco dinamico fra figura e sfondo va a farsi benedire. Entrano in campo i filtri automatici e inconsapevoli delle nostre arcaiche capacità di visione pre-attentiva, che tendono a farci percepire rapidissimamente solo l’essenziale che serviva a garantire la sopravvivenza ai nostri primitivi antenati. La tessitura mimetica faceva del rinoceronte una figura “degradata”, difficile da riconoscere al primo sguardo. Allora ho aggiunto qualche contorno marcato un po’ irrealistico e amen.
A proposito di contorni, nell’occasione sono andato a rileggermi anche il capitolo sul “segno” in Disegnare e conoscere di quel bravissimo Giuseppe Di Napoli, e specialmente le pagine, appunto, sul “contorno” e sul suo carattere convenzionale e concettuale (in natura non ci sono linee o fili neri ai margini delle cose, ricordava Wölfflin). Ma resta valido comunque il detto citato di A. Carracci (probabilmente l’Annibale): ”Fate dapprima un buon contorno e poi (qualunque cosa facciate dentro) sarà un buon quadro”.
Mentre tracciavo i miei disegnucci, ho risperimentato la forza degli stereotipi visivi che abbiamo tutti ficcati in testa, e ho faticato molto a fare qualcosa in cui riuscissi a “vedere diverso”. Almeno in qualcuno ci sarò riuscito?
Già che c’ero ho risfogliato anche di passaggio Sul disegnare di quel John Berger, che mi è tornato a non piacere. Troppo intellettuale, troppo per happy fews. Salvo una sua frase, che continua dolorosamente ad andarmi bene: “E’ la tristezza cruciale del disegno: nulla potrebbe essere più vicino al proprio oggetto, eppure ne è sempre separato” (pag. 139).
Adesso non so più che argomenti trovare, devo essere arrivato all’esaurimento delle mie poche risorse inventive. Ho in mente solo il ballo di una “zebra nuda”, privata delle sue strisce (così l’ho già abbozzata). Vorrei farle girare attorno la sua livrea a strisce, a una certa distanza. Forse è un’ennesima idea, chissà se non banale, su un soggetto sfruttato fino all’osso dai vignettisti delle barzellette.
Arriverò al disegno 33, che sta diventando il mio numero? Temo proprio di no. Comunque sia, a divertimento concluso, infilerò Vegetanimalia nel consueto cassetto e non ci penserò più.